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Dimissioni o risoluzione del rapporto di lavoro nel periodo ''protetto'': modalità di convalida alla fine dello stato di emergenza sanitaria.

Con la fine dello stato di emergenza sanitaria tornano le tradizionali modalità di convalida delle dimissioni e risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro nei periodi c.d. “protetti”. 

La legge riconosce una particolare tutela ai genitori  quando decidono di dimettersi o  di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro durante periodi specifici, ovvero nel periodo della gravidanza per la lavoratrice madre e nei primi tre anni di vita del figlio per entrambi i genitori, padri o madri.
Le dimissioni, così come l’eventuale risoluzione consensuale del rapporto di lavoro effettuati in questi periodi sono infatti soggetti ad uno speciale e necessario meccanismo di convalida da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, a pena di nullità.
Lo scopo è quello di garantire che la risoluzione del rapporto risponda ad una scelta libera e genuina del lavoratore e non sia invece frutto di pressioni o condizionamenti da parte del datore di lavoro.

Con la cessazione dello stato di emergenza sanitaria, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro ha  reso noto con un comunicato dello scorso 19 maggio, che il modulo di convalida online non è più fruibile e tornano operative le vecchie modalità. 

È stata tuttavia introdotta una novità importante, ossia la possibilità di convalida tramite colloqui a distanza.

Il lavoratore può quindi scegliere tra 2 modalità: recarsi personalmente presso gli uffici dell’Ispettorato, come di consueto, o chiedere di effettuare un colloquio a distanza con il funzionario competente.
Nel secondo caso, il lavoratore potrà richiederlo compilando  l’apposito modulo disponibile online sul sito dell’INL - Ispettorato Nazionale del Lavoro - Modulistica (ispettorato.gov.it), ed inoltrarlo tramite posta elettronica all’ufficio ispettivo territorialmente competente, allegando il documento di identità e  la lettera di dimissioni o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, notificata al datore di lavoro, datata e firmata.





E' lecito registrare una riunione di lavoro e conservarne il contenuto?  Se il lavoratore lo fa per scopi estranei alla propria difesa viola il GDPR.

TRIBUNALE DI VENEZIA 2 DICEMBRE 2021 N. 2286.
ll fatto: La registrazione aveva avuto ad oggetto una riunione di lavoro tenutasi nel novembre 2016 per la risoluzione di alcune difficoltà organizzative interne all'azienda. Essa era stata eseguita di nascosto, mediante un dispositivo sistemato in una tasca dei pantaloni o dell'impermeabile, da un lavoratore  che in quel momento non poteva vantare esigenze neppure pre-difensive nei confronti del datore. La registrazione, in ogni caso, era stata conservata e poi messa a disposizione di alcuni colleghi che non avevano preso parte alla riunione e che, a distanza di due anni, l'avrebbero prodotta nelle rispettive cause di lavoro contro l'azienda.
Il principio di diritto:  Richiamando una pronuncia della Suprema Corte (Cass., sez. lav., sentenza n. 12534/2019), il giudice investito della controversia rammenta in particolare che la registrazione, per essere considerata lecita, deve essere eseguita "per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda" nonché "per precostituirsi un mezzo di prova" e a patto che sia "pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità". Il trattamento di dati personali per finalità di accertamento e/o esercizio di un diritto (anche in una fase pre-contenziosa) “è espressione del legittimo interesse del titolare del trattamento e, pertanto, in caso di insussistenza di detto interesse, il trattamento deve ritenersi illecito per mancanza di una delle sue basi giuridiche (art. 6, comma 1, lett. f) del Reg. UE 2016/679)”.
La condotta posta in essere, desumibile dai documenti depositati, si era collocata al di fuori del perimetro di liceità del trattamento, “sia per quanto riguarda la mancanza di una propria esigenza difensiva, sia con riferimento al difetto della pertinenza, sul piano temporale, dei tempi di conservazione dei dati a quanto strettamente necessario alla propria difesa.



Sospensione e stop alla retribuzione per il lavoratore che non vuole vaccinarsi.

L'azienda può sospendere dal servizio e dalla retribuzione il lavoratore che non vuole vaccinarsi contro il Covid 19.Il Tribunale di Modena, con l'ordinanza n. 2467 dello scorso 23 luglio fa il punto sui diversi diritti contrapposti in tempo di pandemia.
Tre i pilastri a fondamento della pronuncia, l'art. 2087 del codice civile, la Direttiva UE 2020/739, il D.lgs. 81/2008.
  • Il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all'interno dei locali aziendali e ha quindi l'obbligo ai sensi dell'art. 2087 del codice civile di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori.
  • La direttiva Ue 2020/739 del 3 giugno 2020 ha incluso il Covid-19 tra gli agenti biologici per i quali è obbligatoria la protezione anche negli ambienti di lavoro.
  • Il Dlgs 81/2008 prevede che tra i doveri di protezione e sicurezza sui luoghi di lavoro
    incombenti sul datore di lavoro vi è quello di tutelare i lavoratori da agenti di rischio esterni.
    L'uso delle mascherine per proteggersi adeguatamente non basta più, ed il datore di lavoro non è tenuto a fornire al lavoratore ulteriori informazioni sui rischi/benefici della vaccinazione, trattandosi di informazioni ormai notorie.

https://www.ilsole24ore.com/art/il-lavoratore-non-vuole-vaccinarsi-sospensione-e-stop-retribuzione-AE8ZWQZ